Pandemia e Cultura

L’articolo appare nel numero 82, gennaio 2022 della rivista Riflessionline.it

“L’Italia, partita da un dopoguerra disastroso, è diventata una delle principali potenze economiche. Per spiegare questo miracolo, nessuno può citare la superiorità della scienza e dell’ingegneria italiana, né la qualità del management industriale, né tantomeno l’efficacia della gestione amministrativa e politica, ne’ infine la disciplina e la collaboratività dei sindacati e delle organizzazioni industriali. La ragione vera è che l’Italia ha incorporato nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura e che città come Milano, Firenze, Venezia, Roma, Napoli e Palermo, pur avendo infrastrutture molto carenti, possono vantare nel loro standard di vita una maggiore quantità di bellezza. Molto più che l’indice economico del PIL, nel futuro il livello estetico diventerà sempre più decisivo per indicare il progresso della società”.

John Kenneth Galbraith, 1983

L’evoluzione della pandemia Covid-19 ha evidenziato, in luci ed ombre, fin dalla sua esplosione nel febbraio 2020, in Veneto e Lombardia, la centralità dell’Italia nei processi sociali, economici e culturali della globalizzazione. Prime regioni in Italia e in Europa per contagio a Codogno e Vo’, nei quasi due anni trascorsi dall’avvio, a Wuhan, dell’epidemia, le due regioni hanno potuto sperimentare direttamente al fronte le proprie forze e fragilità, come opportunità positive – l’autonomia economica e produttiva – che come negative problematiche – gli assembramenti e le relazioni sociali globali. Dopo la Cina, l’Italia è stata l’iniziale centro della diffusione europea del Covid-19, il luogo in cui per primo si è tracciato un percorso vaccinale fino all’80% e oltre della popolazione, alla ricerca della c.d. immunità di gregge, mentre altri paesi, considerati piu’ moderni e civili, si fermavano al 50-70%. L’Italia è ora di nuovo modello, al centro di soluzioni ma anche di problemi che vedono l’emergere di una quarta ondata – e le relative questioni legate all’inasprimento della contagiosità – e delle opportunità create per le proprie imprese dalla relativamente maggiore distruzione delle catene produttive negli altri paesi europei e in quelli emergenti. Le aziende italiane, meno delocalizzate e più capaci di realizzare prodotto finito, più resilienti nelle catene di approvvigionamento, più orientate a soddisfare mercati evoluti e ricchi, hanno avuto una occasione straordinaria di ripresa che ha visto il proprio successo nel record di esportazioni e di PIL toccato nel secondo semestre 2021 – oltre 580 miliardi di euro di beni e servizi previsti a fine anno, con probabile superamento del risultato 2019.

La pandemia ha sconvolto la vita sociale. Per quasi tutto il 2020 e i primi mesi del 2021, se si eccettuano i periodi estivi, la vita sociale e culturale, ed anche quella economica e produttiva dell’Italia, hanno subito un “secolare” stravolgimento, tra lockdown e allontanamento sociale. Era dalla fine della seconda guerra mondiale, e quindi da almeno 75 anni, che il mondo occidentale non vedeva una tale crisi “sistemica”, capace cioè di mettere in discussione tutto il sistema sociale, produttivo, distributivo, politico ed amministrativo, come è accaduto dal mese di febbraio 2020. Se solo l’epidemia avesse avuto il tasso di mortalità della prima SARS-COV-1, nata in Cina nel 2002-2003, il mondo sarebbe rimasto decimato dalle infezioni e dalle morti. Non è ancora finita, probabilmente non lo sarà mai piu’, ma possiamo dire che le economie più sviluppate, e tra esse sicuramente l’Italia, hanno superato in modo abbastanza efficace questa dura prova, ottenendo un pedaggio di morti 10 volte inferiore a quello dell’epidemia spagnola, cento anni fa, principalmente grazie ai propri sistemi sanitari, alla reazione finanziaria coordinata delle Banche Centrali all’insegna della globalizzazione – differentemente dal 2008 – e al senso di responsabilità collettiva verso la diffusione dell’epidemia, che un secolo fa era assente.

La pandemia ha visto un cambiamento significativo degli atteggiamenti delle persone. Non si vuole qui entrare nelle pur rilevantissime questioni legate ai no vax e no pass, all’onda dello smart working remoto, agli evidenti cambiamenti dell’atteggiamento delle persone con riferimento all’abitare e agli spazi richiesti dall’epidemia, che pure stanno modificando radicalmente i comportamenti di larghe fasce della popolazione. Vogliamo parlare, invece, dell’arte e della cultura, e di come il sistema della produzione artistica e culturale abbia reagito all’epidemia offrendo risposte alle esigenze di benessere delle persone e delle famiglie ansiose e preoccupate del proprio futuro, abbia accelerato rapidamente una fase di significativi cambiamenti resi necessari dal cambiamento sociale e tecnologico in atto, e infine costituisca un importante elemento della ripresa economica in atto, perché rappresenta un valore aggiunto distintivo e storico per l’economia italiana (e veneta) e per il suo ruolo in un nuovo assetto geopolitico ed economico globale.

L’attuale panorama globale è occupato dalle devastanti emergenze del cambiamento climatico e dell’emergenza geopolitica, dettata dal tramonto dell’egemonia americana e dall’emergere del secolo cinese. Il mondo è alla ricerca di maggiore comunicazione e sostenibilità. In questo scenario, la globalizzazione emerge come principale strumento di dialogo tra i diversi poli culturali, etnici e religiosi. La principale strategia di normalità globale riguarda le relazioni economiche e culturali. Cultura ed espressioni artistiche rappresentano gli elementi trasversali che permettono alle popolazioni del mondo di dialogare tra loro in modo costruttivo, di conoscere i propri fini e le proprie radici culturali, di attuare strategie di conoscenza reciproca e approfondita attraverso la diffusione delle produzioni creative, della conoscenza delle eredità storiche e monumentali, delle idee legate alla moda e al consumo, un processo sistemico di conoscenza e osmosi tra i popoli del mondo, che i principali media – incluso Internet e i vari Netflix – toccano solo in modo anonimo e consumistico. Invece, solo un mondo sempre più interconnesso che ambisce a conoscere e interpretare le diversità puo’ permettere di superare i sovranismi, gli ideologismi, gli isolazionismi e i separatismi che acuiscono le tensioni e il pericolo di conflitti.

Nel momento più acuto della pandemia, quando 2,6 miliardi di persone stavano chiuse in casa in attesa di soluzioni farmacologiche e vaccinali all’epidemia mortale del COVID-19, arte e cultura hanno rappresentato un’ancora di salvezza per le persone e le famiglie in lockdown. Secondo una ricerca svolta dalla Fondazione Bruno Kessler in Italia, Romania e Spagna, durante la pandemia sono aumentati gli stati di animo negativi nelle persone, legati ad emozioni come la paura e l’ansia. Alla domanda sulle attività svolte per gestire i propri stati d’animo durante la pandemia, gli intervistati hanno indicato in percentuali altissime il consumo di arte (oltre l’85%) e i contatti sociali con le persone care, quasi il 70%, distaccando di quasi 30 punti percentuali l’attività fisica e la cucina. L’attività più frequente è stata l’ascolto della musica, seguita dal guardare film e leggere narrativa. Quanto alla partecipazione attiva ad attività culturali e creative, i partecipanti alla survey hanno preferito “scrivere poesie e testi, dedicarsi al disegno e alla pittura e alla fotografia. Il contributo delle arti e della cultura al proprio benessere è stato descritto dal 64,2% dei 1.600 intervistati con l’espressione “Mi fa sentire meglio”, dal 42% come “Possibilità di sperimentare bellezza, stupore e trascendenza” e dal 38% come un “Un modo per riflettere sulla propria vita”. Infine tra gli stati emotivi derivati dal contatto degli intervistati con le attività culturali e creative, le categorie emerse più spesso sono “Rilassato/tranquillo”, “Positivo/gioioso”, “Motivato/appagato”, “Senso di benessere, soddisfazione e ispirazione”. Nell’ambito della ricerca, “senso di benessere” ha il significato di una positiva condizione dell’esistenza, caratterizzata da salute fisica e soddisfazione psicologica, in cui le persone e le comunità percepiscono i propri bisogni in un percorso di soddisfacimento e dispongono delle risorse necessarie a perseguire il proprio personale concetto di appagamento, raggiungendo la propria definizione di successo” (“Art consumption and Well being, research report” Fondazione B.Kessler, Cluj cultural Center, Yuste Foundation, 2021, in rete).

In realtà, non sembrava necessario rievocare i fenomeni tragici della pandemia Covid-19 per delineare il ruolo significativo e “salutare” dell’accesso all’arte, alla cultura e alla creatività per il benessere delle persone nella società moderna, caratterizzata da un alto livello di alienazione e spersonalizzazione, accentuato dall’incontro sempre più frequente con culture e comportamenti estranei che richiedono una elevatissima flessibilità, capacità critica, cultura analitica.

Il “sistema artistico e culturale” italiano gode di una protezione costituzionale (art. 9), che si esprime in politiche attive di valorizzazione artistica, culturale, monumentale, urbanistica e paesistica dell’Italia come paese primario nel mondo per eredità storica artistica, culturale e antropologica. Il Ministero della Cultura gestisce diversi Fondi per la promozione della cultura, che rappresenta un vero e proprio “asset immateriale” dell’Italia, ed e’ assistito in tale impegno dalle Regioni – per legislazione concorrente – che esprimono leggi e iniziative volte a valorizzare il patrimonio culturale locale, insieme agli enti locali sottordinati, come Province e Comuni, con l’essenziale partecipazione delle Fondazioni bancarie, cui tale compito è attribuito per legge. Vengono incluse tra le forme “creative” la comunicazione, la produzione musicale e audiovisiva, i videogiochi e il software, l’editoria e la stampa, le arti rappresentative come pittura e scultura e la grafica, la valorizzazione del patrimonio storico e artistico, l’architettura e il design.

Tutti questi ambiti rappresentano un patrimonio nazionale che esula dal “produttivismo industriale ed economico”, in quanto frutto di creatività, ma rappresentano una quota pari al 5,7% del PIL, per circa 84,6 miliardi di euro e 1.450.000 occupati, e contribuiscono ad attivare un moltiplicatore pari a 1,8 – cioè generano un volume in diritti, biglietteria, affari, addetti e produzioni collaterali di servizio pari a 155,2 miliardi di euro, pari al 10,4% del PIL Italiano. La filiera complessiva della cultura, che include anche mobilità, turismo, ristorazione, ospitalità, arriva a 239,8 miliardi, pari al 16,1% del PIL. In questo senso, si comprende attraverso numeri reali che arte, creatività e cultura producono volumi economici consistenti per lo sviluppo del paese, e ne costituiscono un asset paragonabile se non superiore a quello di cui altri paesi dispongono, diversamente dall’Italia, come le risorse naturali, minerarie, forestali (Stati Uniti, Canada, Norvegia, Russia).

I dati analitici di questo fenomeno sono raccolti in una approfondita analisi che ogni anno la Fondazione Symbola conduce sullo “stato della cultura” in Italia dal titolo “Io sono cultura”, facilmente rintracciabile in rete. Attesa l’affermata grande potenzialità antropologica ed economica dell’arte e della cultura italiane, rimane ora da capire come essa si articola nel territorio.

La consapevolezza che eredità culturale, arte e creatività rappresentano per l’Italia la vera risorsa nell’ambito della globalizzazione, la quale si riflette anche nella creatività e nel design del prodotto manifatturiero, dovrebbe convincere ad ogni livello enti pubblici, enti locali, decisori politici e istituzioni pubbliche e private dell’importanza di dedicare risorse economiche ed umane crescenti per la valorizzazione delle competenze distintive in ogni ambito della creatività, dalla scienza all’arte, per assicurare un futuro ruolo all’Italia e alla sua popolazione autoctona nel quadro globale dell’economia e della cultura.

Il panorama della produzione artistica, creativa e culturale nazionale è fortunatamente ampio, ma vorremmo dedicare alcune riflessioni all’immagine e alle realtà veneta e padovana nel quadro nazionale. Grazie all’intensità delle attività economiche e di quelle artistiche e culturali, Padova e il Veneto si collocano ai primi posti nell’ambito della produzione culturale nazionale. La provincia di Padova si colloca all’8° posto in Italia dal punto di vista del sistema “culturale e creativo”, con una incidenza del 6,1% sul PIL, dopo Milano, Roma, Torino, Arezzo, Trieste, Firenze e Bologna, superando tutte le altre province venete inclusa Venezia. Il Veneto è al quinto posto in Italia, dopo Lombardia, Lazio, Piemonte e Toscana, e sopravanza l’Emilia Romagna: sicuramente la densità universitaria e l’eredità culturale storica del Nordest, crocevia con l’Asia e il nord Europa dalla Repubblica Serenissima di Venezia alla Mitteleuropa dell’occupazione austriaca, favoriscono questo primato rispetto a quello delle capitali storiche economiche dell’Italia, come Lazio, Piemonte, Toscana. Oggi, la storia è sostituita dal potente sviluppo delle relazioni globali, dalla Cina, alla Russia alle americhe al nord Europa. Sorprendentemente, questa ambiziosa posizione conseguita dal Veneto, viene raggiunta con risorse pubbliche non propriamente generose, destinate all’arte e alla cultura dalla Regione Veneto, spesso viceversa così ansiosa della propria autonomia dallo Stato Centrale.

Si prenda ad esempio la destinazione di risorse pubbliche alle attività artistiche e culturali, tra cui quelle teatrali, dello spettacolo dal vivo, della musica, della danza. Tutti hanno visto le sale vuote, l’abbandono del teatro, della musica e del cinema nel 2020-2021. La riduzione di iniziative e spettatori non è riuscita ad annullare la vitalità delle realtà artistiche del Veneto, ma il ritorno degli spettatori e la rinascita della vita sociale culturale richiede ingentissime risorse: mancano sale, strutture, l’occupazione è precaria e priva di certezze. Nonostante tutto, la produzione creativa è forte e consistente.

Fonte: il Corriere del Veneto del 10 novembre 2021.

Purtroppo, dal punto di vista della politica regionale per la cultura e l’arte, il Veneto occupa un non invidiabile ultimo posto in Italia, come rivelato nelle ultime settimane da una indagine condotta dall’AGIS in occasione della definizione del bilancio di previsione 2022 della Regione Veneto. Pur trattandosi di legislazione “concorrente” che si affianca a quella nazionale espressa, appunto, per un diritto al sostegno sancito dalla Costituzione, questa carenza non è meno importante, se si considerano i 17 milioni della cultura nel confronto con i quasi 13 miliardi di bilancio annuo regionale (poco piu’ dell’1 per mille). Come conciliare questa relativa “disattenzione” della politica e dell’amministrazione per il patrimonio culturale, artistico e creativo del territorio, che contribuisce in maniera determinante al successo del “modello Veneto” e ai risultati economici delle esportazioni e del turismo? I turisti a Venezia, Padova, Verona, consumerebbero i pavimenti se non vi fossero monumenti, opere artistiche, teatri, musica, biblioteche, spazi di cultura storica e moderna? In fondo, turisti e consumatori comprano i prodotti veneti per il loro contenuto artistico unico, lo stile, il loro design, la loro eredità culturale e storica e la qualità del prodotto, assicurata dalla competenza e dalla cultura delle maestranze e degli imprenditori. Analogamente, le arti creative (pittura, scultura, scrittura), la musica, il teatro, la danza, lo spettacolo rappresentano altrettante realtà economiche, “servizi” che sono essenziali per assicurare il godimento del turista in viaggio, oppure la scelta del consumatore all’estero, nella fruizione di spettacoli in streaming, registrati, dal vivo – si pensi all’opera musical realizzata da Red Canzian, “Casanova”, sullo scritto del padovano Strukul, e la musica dell’Orchestra di Padova e del Veneto. L’Orchestra, dal canto suo, nel 2020 ha messo tutto il suo patrimonio musicale storico in streaming, attraverso il portale “opvlive.it”.

Da un lato, va registrata l’enorme vitalità ed autonomia della realtà del Nord Est, ma qui sì, in particolare del Veneto. Una predilezione per la cura paesaggistica dei luoghi storici, per la specificità e per lo scambio culturale, per le espressioni artistiche e del design e moda in una dimensione internazionale e “globale”, offerta dall’alto tasso di mobilità di centinaia di migliaia di veneti, dai migranti del ‘900 ai “migranti di ritorno” del 21° secolo, dai migliaia e migliaia di imprenditori internazionali, dall’apertura ad altre culture e altre civiltà che da sempre caratterizza la produzione creativa del Veneto. Questo fenomeno sostituisce, come una vera e propria “sussidiarietà spontanea”, la mancanza di risorse pubbliche e la relativa improduttività della “cultura di stato”, spesso fonte di distorsioni e inadeguatezze. Alcune scelte fatte negli ultimi anni dal Ministro Franceschini hanno contribuito a risollevare i musei nazionali piu’ importanti, come i musei romani, fiorentini, campani, milanesi e torinesi. Questa “rivoluzione” non ha ancora toccato il Veneto, ma Venezia e Padova hanno comunque conseguito una rilevanza internazionale con i propri musei e luoghi d’arte, e con il conseguimento del titolo di patrimonio dell’umanità di Padova Urbs Picta, in aggiunta all’Orto Botanico 1545, da tempo patrimonio Unesco.

Grande vitalità è espressa anche dal mondo della musica e del teatro e della danza, con la presenza in Veneto di ben due Fondazioni Lirico Sinfoniche (l. 800/1967) su 14 in Italia (Teatro La Fenice e Arena di Verona), una Istituzione Concertistico Orchestrale (art. 28 l.800) su 14 in Italia (Fondazione Orchestra di Padova e del Veneto) con tutto il vasto sistema dei conservatori e delle orchestre locali, tra cui si possono ricordare i Solisti Veneti e l’Orchestra regionale filarmonia veneta, cui si aggiunge l’aspirazione del Teatro Stabile del Veneto (Padova, Venezia, Treviso) a tornare uno dei 7 teatri nazionali con decine di compagnie, centinaia di giovani attori, e il festival Operaestate di Bassano, che ogni anno con oltre 100 eventi attrae spettatori da tutta Italia.
Quattro istituzioni di rilievo nazionale su 35 rappresenta un primato di rilievo per l’arte e la cultura del Veneto nel panorama nazionale, una vitalità che supera e riduce la gravissima carenza di attenzione dell’ente Regione e del finanziamento pubblico locale, dimostrando anche in questo caso una forte sussidiarietà. Nel campo culturale, la leadership artistica e culturale italiana va poi alla Biennale di Venezia (Architettura, Arte, Musica, Cinema, Danza), e questo primato si esprime poi in tutto il territorio del nord est attraverso l’azione di centinaia e centinaia di gruppi teatrali, associazioni culturali, orchestre, cori, festival locali che spesso assumono popolarità nazionale e internazionale, un sistema di imprese che riunisce 22.808 realtà imprenditoriali in Veneto e 274.000 in Italia (2020), di cui 819 nel settore musicale e 2.069 nelle performing arts.

Qual è la finalità di questa carrellata di dati, in gran parte colti da pubblicazioni e statistiche specializzate? Confermare che arte e cultura non sono un onere, né impegni da assolvere con riluttanza, sia da parte dello Stato che dalla parte delle Regioni e del sistema economico, mecenate e committente. Sono, anzi, grandi opportunità sottovalutate e trattate spesso con inconsapevole sufficienza. Da qualche parte nella storia italiana del dopoguerra, arte e cultura sono state retrocesse ad una funzione minore dalla monocultura manifatturiera e dal sistema finanziario, abituati a processare e dare uguale importanza a creatività e rifiuti, a startup e brevetti dell’ingegno e movimentazione di container. Beninteso, agli effetti dello sviluppo del reddito, del territorio e dell’occupazione, i fattori di crescita e occupazione sono tutti ugualmente importanti. Ma arte e cultura possiedono un carattere identitario, una spinta alla crescita personale, artistica, culturale, sociale e morale, promuovono l’individuo e la società che le trasforma in opere d’ingegno, design, rappresentazioni scritte, narrate, recitate, suonate, danzate, e “polarizza” il territorio che la esprime nello scenario globale, dandogli valore economico, identità, diversità, attrattività non solo turistica, ma anche possibile scelta per i giovani di vita, residenza e sviluppo imprenditoriale. Milano, diventata una delle principali 20 metropoli globali in dieci anni, ne è stato un esempio illuminante.

La società veneta è chiamata perciò ad attribuire sempre maggiore attenzione alle proprie espressioni artistiche e culturali. Esse sono la sua risorsa naturale, il viatico per l’affermazione dell’arte e cultura veneta nel mondo, non una forma di arroganza o di primato, ma un modello di diversità e sostenibilità artistica ed espressiva che puo’ diventare un riferimento alternativo ai modelli consumistici, per essere presenti nel processo di globalizzazione in modo meno anonimo e livellato, e più umanista e solidale di quello imposto dal grande sistema dei consumi e dei pervasivi media globali, come i modelli di intrattenimento proposti da Netflix, Prime, Sky. Occorre trovare il coraggio di favorire ed esprimere una dignità artistica e creativa in cui – spesso – Veneto e Italia non sono secondi a nessuno nel mondo.

Padova, 30 novembre 2021

 * Amedeo Levorato, senior manager e consulente d’impresa, è attualmente Direttore Amministrativo della Fondazione Orchestra di Padova e del Veneto – ICO riconosciuta dal Ministero della Cultura, dopo diversi decenni di esperienza imprenditoriale e dirigenziale.


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